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Cabezo stories …

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Testo Mauro F. Foto © Archivio Windcam
09-03-2016: Non sono mai stato “quello dell’ultimo modello di attezzatura” ma questa volta, aiutato dal “sensibile” Andrea gestore del negozio di windsurf “Godzilla”, ho cambiato il mio rig Simmer con almeno 6 anni di età per le nuovissime Severne 2016 con tanto di passaggio da boma alluminio sezione normale a boma in carbonio sezione slim. La carica quando hai l’attrezzatura nuova è tale che gli occhi ti si annebbiano e, per la voglia di provarla non vedi ciò che normalmente invece hai ben chiaro. Dopo aver attaccato sulla vela gli adesivi del negozio mi fiondo verso il nostro caro amato, seppur spesso temibile, spot… El Cabezo. Le condizioni sembrano buone per la mia nuova 4,7. La marea ha da poco raggiunto il picco massimo e le onde sono importanti, almeno per le mie capacità. Armo la mia vela godendomi il primo montaggio a quel bellissimo boma, finito di armarla la ammiro e gli faccio una foto… Che rig ragazzi!!! Ok, è il mio momento, indosso la muta, mi metto il trapezio e mi dirigo con l’attrezzatura verso la bocca dello spot. Mi rendo subito conto che le condizioni sono ardue anche solo per entrare in acqua, l’alta marea non permette un accesso facile con onde e grosse schiume che ti vengono in contro come un avvertimento, come se ti avvisassero che ti danno solo una possibilità, quindi, GIOCATELA BENE… Un po’ forse per fortuna, un po’ ascoltando il tremolio delle ginocchia che quasi mi parlano, scelgo il timing perfetto e, superate le prime onde di un set fortunatamente umile nelle sue dimensioni, in poco tempo mi trovo fuori, al sicuro, momentaneamente, da quei “tritacarne” che masticano di tutto. Morale della storia, rimango fuori per poco più di un’ora, il vento cala leggermente ma preso dal mio nuovo rig non ci faccio nemmeno caso. Surfo alcune tra le più belle onde che mi fossero capitate, entro nei primi bottom guardando in alto a sinistra il lip che si sta formando (surfate mura a dritta ovviamente) e un mix di sensazioni tra paura, rispetto, ammirazione e gioia mi ricorda che mi trovo a surfare le onde più grosse che avessi mai surfato. Non erano enormi, saranno state 7/8 piedi, ma quando le guardi dal punto più basso del bottom devi aggiungere anche la profondità della risacca e da lì la prospettiva prende tutta un’altra forma. Ne surfo un po’, forse 6 o 7, alcune meglio ed altre peggio. Alla fine delle mie surfate mi spingo sempre di fronte al bunker dove c’è si una distesa di rocce ma che, essendo tutte più o meno della stessa altezza, non mi creano troppe difficoltà poiché è da un po’ di tempo che mi sono trovato costretto ad utilizzare i calzari da reef, proprio per ovviare ai vari ricci e al dolore ai piedi nel trovarmi spesso proprio tra quelle rocce. Così facendo, anche con marea alta, se non chiudo bene una strambata posso più o meno tranquillamente ripartire in piedi. Ed eccoci al momento fatale, dopo un paio di bordi ben effettuati, alla fine dei quali per ben due volte dico tra me e me: “QUESTO È L’ULTIMO”. Decido, a fine surfata, di andare a strambare dove strambano i PRO, quindi mi dispongo a tutta orza e risalgo l’acqua fino ad andare a strambare subito prima del Godzilla, che mi rimane di poco sopravento. Non l’avessi mai fatto!!! In strambata un potente schiumone mi impone “si o si” una forzata caduta in acqua. Fino a lì nessun problema, velocemente mi preparo per ripartire ma mi rendo subito conto che il successivo schiumone non mi darebbe assolutamente nessuna possibilità nella mia ripartenza, così penso di correre velocemente ai ripari. Usando l’istinto umano che più velocemente mi viene alla mente, decido di mettermi in sicurezza ed afferrare la penna l’albero con la mano sinistra mettendomi, ovviamente, sopravento rispetto all’attrezzatura. Nella mia testa devo solo tenere la vela il più forte possibile e MAI mollarla ricordandomi anche che quella vela è la prima volta che entra in acqua. Quindi penso, tengo duro, resisto il passaggio dello schiumone e poi velocemente riparto. Si, come no, tutto da copione… Lo schiumone è molto grosso e veramente molto potente, mi ritrovo ad essere trascinato violentemente, appeso alla mia attrezzatura come se fossi una bandiera. Galleggiando su quella schiuma non faccio in tempo a sollevare la testa per prendere respiro che mi rendo conto di essere già vicinissimo alla riva. Ma le rocce? Penso!!! Ecco, non l’avessi mai pensato, a più o meno 15 metri dalla riva, aperto in una posizione tipo Superman ancora attaccato alla mia penna d’albero, la corsa è interrotta da un violento colpo intercostale sul fianco sinistro che mi ricorda che le rocce sono ancora lì e non si spostano di certo. Esito finale, il mio caro amico Enzo mi aiuta ad uscire dall’acqua, un altro ragazzo prende in consegna l’attrezzatura. Taglio di 20 cm alla tasca d’albero, tutto sommato l’attrezzatura se l’è cavata bene. Io, dopo aver zoppicato vistosamente per i quattro giorni successivi, ai limiti di non riuscire a camminare, decido di andare a fare le lastre. 2 costole incrinate ed 1 rotta. Anche questo è El Cabezo, anche questo è il windsurf. Se nella vita avessi intrapreso la passione degli scacchi forse tutto ciò non sarebbe accaduto… o forse sì… Comunque l’altro giorno 14 maggio 2016 sono finalmente tornato in acqua, pochi bordi e molta paura, ma almeno ho rotto il ghiaccio .

Testo Mauro F. Foto © Archivio Windcam ( non avendo foto di questa giornata abbiamo messo alcune foto di “archivio” di Mauro con il suo vecchio materiale )

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