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Baja on the road, Windsurfer World Trophy and ….dreaming Hookipa

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Testo e Foto Palì Gueltrini. A poche ore  dalla partenza per Maui, mi rendo conto che le mie notti e i miei sogni liquidi sono costantemente proiettati verso quelle poche vocali ammassate  insieme a dure consonanti:  H.O.O.K.I.P.A un nome che sta diventando per me una piacevole ossessione, anche  se significa “benvenuto” in hawaiaano, la lingua delle esotiche isole, il cui alfabeto è composto da solo  12 lettere.

Hookipa per gli appassionati del nostro  sport ha ben altro significato: Hookipa è la M.E.C.C.A del windsurf sulle onde, come l’EVEREST per un alpinista,  La Scala di Milano o il teatro Bolshoi di Mosca nei sogni di una giovane ballerina, l’ELDORADO per un cercatore d’oro….il SANTO GRAAL per un cavaliere templare…qualcosa di mitico, irraggiungibile, leggendario.

HOOKIPA è la spiaggia di Maui dove è nato lo sport del surf a vela tra le onde nella maniera più spontanea e rocambolesca: Mike Waltze, leggendario scopritore di questo spot e pioniere della tavola a vela insieme a Robby Naish e Matt Schweitzer (figlio dell’inventore dell’original  WINDSURFER), si presentò nel garage di Gerry Lopez, già famoso “mister Pipeline” (la più famosa, fotografata e pericolosa  onda tubante del pianeta ),  chiedendogli in prestito le sue  tavole usate, tavole denominate “GUN”, caratteristiche   per la forma lunga e affusolata in grado di  resistere alla grande velocità dei frangenti di 20-25 piedi (10-15 metri di parete), che si abbattono sulla costa nord della vicina isola di Ohau, durante le mareggiate invernali: Waltze applicò uno snodo per collegare la vela alla tavola ed ecco trovata una soluzione per surfare a vela le onde  in modo innovativo e veramente in modo simile al surf da onda, cosa  mai fatta prima di allora.

Da quando ho memoria, nelle estati senza fine dell’infanzia, ho il ricordo di assolate spiagge adriatiche, intento a giocare con sabbia, acqua, granchi, reti e canne da pesca, e poi appena in grado di apprezzare il vento e le onde, con qualsiasi cosa che avesse una vela o fosse in grado di scivolare sull’acqua. 

Dopo i primi anni di vela agonistica, scopro all’età di 15 anni la tavola a vela ed il surf, sull’onda del  film “Un Mercoledì da Leoni” del 1978.

A 20 anni, per affrontare al meglio l’università ed inseguito per la mia attività professionale, ho abbandonato l’agonismo , praticando vela, surf e windsurf nell’amato Adriatico  o facendo sporadici e sempre più rari viaggi, con gli amici, negli oceani del mondo, alla ricerca dell’onda perfetta e per la pura passione di questi sport.

Le piccole e grandi priorità che costringono ed inducono anche il più incallito homo surfabilis  ad una vita più o meno sedentaria dedicata al lavoro, alla famiglia, ai figli, e la mia natura stanziale che apprezza comunque le condizioni adriatiche per veleggiare saltuariamente e pigramente con poco sforzo organizzativo, mi consentivano veramente pochi surf trip all’estero, in media una settimana o 10 giorni  ogni 3-4 anni, quasi come quegli sportivi da”gazzetta dello sport” convinti di praticarlo davvero, anche grazie alle riviste patinate e consumando ore ed ore davanti a video provenienti dalle spiagge di tutto il mondo; poi, d’improvviso il nocciolo degli amici più appassionati si è riunito dentro uno di quegli infernali gruppetti di WhatsApp, denominato NUCLEOVENTONDA generando una specie di piacevole malattia, finalizzata a vivere e condividere il meglio possibile le giornate di vento, e a scambiarsi notizie surfistiche,  complici le sempre più efficaci e puntuali previsioni dei moderni modelli matematici che vengono analizzati dall’oracolo del gruppo, il mitico NoSPAdamus, che utilizza prevalentemente il modello francese ArSPAge.

La famigerata spiaggia di Hookipa, battuta  quotidianamente da  consistenti trade-winds, i venti alisei e rinomata per le sue grandi onde nel periodo invernale, ma anche temuta a causa delle inisidiose rocce affioranti, è considerata come dicevo la mecca di questo sport, ospitando ogni anno le finali dei campionati amatoriali e professionistici, che si riuniscono per l’ultima kermesse mondiale sotto i riflettori dei media internazionali.

Ogni onda, ogni refolo, ogni granello di questa spiaggia hawaiana è  ormai a me familiare, senza esserci mai andato, ho ascoltato le gesta degli amici romagnoli che ci sono stati spesso  e senza volerlo, ho applicato le cosidette tecniche di visualizzazione del gesto atletico, che consente di allenare il cervello ai movimenti tecnici, anche comodamente seduti  sul divano, ammirando le evoluzioni dei campioni del windsurf e memorizzando inconsapevolmente ogni sfumatura e dettaglio tecnico… io in quella spiaggia ci sono stato da sempre…continuo a ripetermi, proprio come farebbe  la giovane ballerina in adorazione davanti alle immagini delle più grandi etoiles della danza.

Questa volta invece no…questa volta devo partire  davvero: in modo inaspettato e senza troppa pianificazione, è nato tutto un po’ per caso,  ricapitoliamo la storia di questo incredibile anno sabbatico …

Nel 2018, per festeggiare i 40 anni di pratica di questo sport, per trovare nuovi stimoli, rimettermi in forma e seguire la mia passione, ho deciso di fare la mia prima gara di windsurf sulle onde in Marocco accompagnato dalla cricca dei Kamala Boys, gli amici più fedeli, sull’oceano atlantico, partecipando alla prima tappa dell’International Windsurfing Tour,  giungendo secondo nella categoria Grand Master, con mia grande sorpresa e nonostante la rottura di tre costole due giorni prima della finale.

Visto l’ottimo risultato, e l’occasione del compleanno di mio figlio che vive a San Francisco, mi sono spinto  più a nord negli USA,  sulle remote scogliere dell’Oregon nell’estremo ovest degli stati uniti, sull’oceano pacifico, per  partecipare alla seconda tappa dell’IWT, vincendo davanti a tutti i surfer locali, californiani ed hawaiiani

L’inaspettata leadership del ranking mondiale, mi ha indotto a continuare il tour giungendo secondo anche in Messico, a Punta SanCarlos, un remoto e ventoso promontorio, dove il deserto della Bassa California incontra le onde dell’oceano: un’esperienza incredibile affrontando le onde ed il vento del pacifico, vivendo sulla spiaggia in tende e furgoni insieme alla “famiglia” di atleti professionisti ed amatori, che popola il variopinto circuito dell’International Windsurfing Tour (IWT).

Il trip in messico in un’ambiente selvaggio e ostile, mi ha fatto capire quanto ancora c’è da scoprire a livello surfistico ed umano in questo nostro piccolo pianeta, e forse farlo ad un’età matura, senza troppi rimpianti per “non averlo fatto prima” ti aiuta a viverlo in maniera più consapevole e con maggiore intensità, apprezzando ogni momento, ogni raggio di luce, e tanti aspetti non legati alla performance atletica o alle inovazioni tecniche estreme….a volte basta volerlo e provarci.

A livello di budget è si impegnativo, ma si tratta di fare delle scelte, rinunciare ad altri confort casalinghi, convincere la famiglia ad accettare questo effimero momento di gloria, da considerare come un classico colpo di coda di mezz’età (per non dire il canto del cigno!!) e soprattutto rimandare la sostituzione della vecchia e fedele  Zafira blu a metano, soprannominata “Surfira” dai miei figli, per la presenza costante di qualche accessorio da surf , fetide mute bagnate, aria condizionata fuori uso da anni  ed un tasso di umidità interno pari alla stagione dei monsoni in Vietnam del sud, che ha provocato dopo 15 anni  il distacco di tutte le tappezzerie interne.

Dopo 30 ore di volo ho lasciato alle spalle la caotica metropoli di Tijuana, considerata a torto o a ragione uno dei luoghi  più pericolosi del pianeta,  dove ogni anno la guerra tra i cartelli della droga lascia sul campo migliaia di morti decapitati o sciolti nell’acido; una città simbolo di perdizione e di lussuria fin dai tempi del proibizionismo negli stati uniti e ben descritta da John Milius nel suo BIG WEDNESDAY, dove i tre surfer  protagonisti, Matt, Jack e Leroy rimangono coinvolti in una sparatoria (con morto) assistendo allo spogliarello della famosa DOLORES ANDESITO, la chica “mas verghine de todo Mexico”!

La zona dell’aeroporto, dove ho dormito la prima notte è adiacente al confine con gli USA, ero tentato di infilarmi in un sordido locale di Lap Dance, ma per fortuna l’istinto di sopravvivenza e forse, vista la qualità infima del luogo,  con il timore di trovarmi di fronte  all’ultima esibizione di Dolores (forse quasi settantenne?), mi hanno fatto rinunciare a questo malsano e primordiale istinto; le bettole puzzolenti ed i localini fumosi dove mi fermo a trangugiare  un pessimo Tacos di carne e salsa piccante,  brulicano di homeless, derelitti e mojados (bagnati): clandestini in procinto di tentare l’attraversamento del confine, che devono il loro iconico nome al fatto che uno dei flussi di immigrazione più battuti era l’attraversamento del Rio Grande, il fiume tra il Messico ed il Texas, dove i clandestini, giungevano completamente “bagnati”.

Il mattino seguente, dopo un bel litigio con vari noleggiatori di auto durato tre ore, con contrattazioni, cancellazioni  e conciliazione con risate alla Pancho Villa e abbraccio finale, inizia, a bordo di una  fiammante berlina Volksvagen “VENTO” (aria condizionata funzionante) il mio viaggio on the road verso il deserto di Punta San Carlos, davanti ai lmiei  occhi si svela  un mondo selvaggio ed autentico dove, oggi come allora, il paesaggio naturale ed antropizzato sfoggia  dune di sabbia bianchissima, deserti, canyon, vulcani estinti, antichi villaggi minerari, missioni, cittadine coloniali, caverne che celano incisioni preistoriche, isolette paradisiache, spiagge da favola e della più spettacolare varietà di flora e fauna marina così come di cactus e piante grasse del mondo.

 Suite di lusso con vista mare

Vivere per 10 giorni sulla ventosa  scogliera di Punta San Carlos,  in una tenda da 19,90 euro acquistata da Decathlon, con viveri ed  80 litri acqua, comprati nell’ultimo avamposto di civiltà prima del deserto, mi avvicina a quell’ideale di navigazione in solitario che tanto mi ha fatto sognare nelle letture di vela e racconti di attraversate oceaniche di alcuni amici, che hanno vissuto la passione per il  mare e per il  vento, in maniera altrettanto forte e forse più intensa di quella che può provare un incallito surfer adriatico. 

L’ultima spesa 

Non riesco ad immaginarmi  lo stupore dei conquistadores al seguito del condottiero spagnolo Cortès, quando approdarono nell’anno 1535 nella splendida Baja California, incantevole penisola lunga 1.700 chilometri e bagnata ad ovest dall’Oceano Pacifico e ad est dal caldo mare di Cortés (Golfo di California).

The desert meet the sea 

La bassa california era considerata da Cortez ed i conquistadores spagnoli una terra ostile, enorme e difficile da soggiogare: clima estremo, poca acqua, tribù di indiani valorosi ed irriducibili ne facevano sicuramente un luogo difficile da soggiogare.

L’ultima cittadina  che si incontra dopo le mie  9 ore di percorso,  prima di affrontare gli ultimi  km di sterrato è il paesello di El Rosario, dove avevo pianificato di fermarmi per la notte, anche per sostare in un luogo particolare: la locanda motel  di Mama Espinoza, famosa per essere il primo  check point della celeberrima  corsa 1000 miglia su sterrato “Carrera 1000” che si è svolta su questa strada la MEXICO 1, ininterrottamente dal 1967 al 2014, a cui parteciparono personaggi del calibro di Steve McQueen con auto e moto fuoristrada.

La proprietaria della locanda Anita Grosso Pena, nacque nel 1906, e prese il soprannome di Mama Espinoza quando sposò Heraclio Espinoza ,  crebbe una famiglia numerosa, grazie alla sua semplicità e carisma genuini, (era nata da Luigi Grosso un esperto di miniere genovese e la figlia indigena  di un capo indiano) conobbe grandi sportivi e capi di stato, ed è passata a miglior vita a 109 anni.  La gente del luogo definiscono “una verdadera legenda en Baja California” perchè “ella ve el pasado y el futuro de esta tierra”. Colta e determinata, intelligente e generosa, la veterana ha promosso l’educazione della sua gente, ha contribuito ad organizzarne l’assistenza medica, si è impegnata in opere di carità in favore di bambini orfani e di anziani soli. È stata pioniera anche nell’arte dell’ospitalità, tramandata a figlie e nipoti che grazie alla sua guida gestiscono il famoso ristorante-museo Mama Espinosa’s.

Cactus Landscape

Desert sunset

Drone picture courtesy by Kevin Pritchard 

Picture courtesy by Kevin Pritchard

Prima del viaggio in Messico, tra le perle di questa collana che mi sta portando nel tetto del mondo, c’è stata un’altra piacevole tappa, che ha contribuito al progressivo ed esponenziale aumento dell’adrenalina e del pathos che si sta  impossessando di me, come una sorta di trance mistica degna di una notte di sfrenati balli di taranta salentina: a Torbole, in luglio  si è svolto il WINDSURFER WORLD TROPHY, per festeggiare il 50ennale dell’invenzione di questo sport da parte di Hoyle Schweitzer e Jim Drake nel lontano 1968.

L’occasione è nata anche per presentare al mondo la nuova tavola Windsurfer LT, un’operazione di “Multibrand Marketing” per rilanciare il mitico original Windsurfer One  Design, classe monotipo adatta a  regate ad armi pari con costi contenuti ed imparare tra amici a veleggiare  in modo semplice e senza l’ossessione  del vento forte a tutti costi.

La tavola rinnovata come fosse un’auto o moto “Classic Modern” tipo il Nuovo Maggiolone, la Mini Morris o la Triumph Bonneville, conserva il fascino inimitabile dell’originale, ma è più leggera, lunga sempre 12 piedi,  più larga e stabile con morbido antisdrucciolo gommoso, con possibilità di essere utilizzata come SUP o tavola scuola per principianti  , verrà prodotta dalla factory COBRA in Thailandia e commercializzata da tutte i Brand che producono la loro linea di tavole in quella fabbrica, avremo quindi Windsurfer by Naish,  by Starboard, by Exocet ed anche I.99 by Cesare Cantagalli, il mitico surfer romagnolo le cui gesta e risultati sugli spot e nel wave world tour rimangono ancora  oggi ineguagliati.

Il rilancio della classe a livello planetario sta avendo incredibili risultati in Australia, Olanda, Giappone, Francia, Spagna e soprattutto in Italia dove le regate sono numerose ed affollate da veterani, i loro figli ed anche nuovi adepti di tutte le età, compresi ex campioni olimpici come nel caso di Torbole, che ha visto la partecipazione di oltre 100 atleti suddivisi in classi di peso.

L’ambizione è anche quella di proporre la tavola come nuova classe olimpica per il futuro,  con la possibilità  di regate tipo match race a squadre tre contro tre , composte da un atleta pesante, un leggero ed una donna.

Ora non mi resta che la finalissima  IWT, che si disputerà da domenica 28 ottobre, sulla celeberrima spiaggia di Hookipa, sull’isola di Maui alle Hawaii: arriverò sull’isola con una buona dote di vantaggio sul mio diretto rivale tra i Grand fathers… Masters , l’Hawaiano Scott Shoemaker, da me soprannominato “sharkbite” (morso di squalo) per essere stato attaccato  e ferito ad una gamba da uno squalo,  surfando nelle onde di casa, proprio a  Maui.

La famigerata spiaggia di Hookipa, battuta  quotidianamente da  consistenti trade-winds, i venti alisei e rinomata per le sue grandi onde nel periodo invernale, ma anche temuta a causa delle inisidiose rocce affioranti, è considerata, come dicevo, la mecca di questo sport, ospitando ogni anno le finali dei campionati amatoriali e professionistici, che si riuniscono per l’ultima kermesse mondiale sotto i riflettori dei media internazionali.

Facendo un po’ di conti l’impresa non è impossibile, anche se l’insidia di quello spot terribile potrebbe essere veramente fatale, quindi per scaramanzia non si dice “GATTO finchè non è nel SACCO!!”, il podio a hookipa è sicuramente blindato per la partecipazione di numerosi ex professionisti abituè di quello spot, che non hanno la necessità  di viaggiare alla ricerca di emozioni particolari perché hanno la fortuna di vivere nel centro di gravità del moderno wave sailing.

L’epica sfida tra me e Scott, si consumerà silenziosa, lontana dalla lotta per la vittoria della tappa, dai riflettori e dalle dirette streaming, riservati ai professionisti di questo sport,  ma questa volta non sarò da solo: sarà di supporto il mio caro amico Marcello Rivalta, compagno di 40 anni di surf, con me, per la seconda volta insieme alle Hawaii 35 anni dopo il nostro primo iniziatico viaggio ad Ohau, nella leggendaria Kailua, dove festeggiammo il suo 20esimo compleanno nientepopodimeno che a casa di Robby Naish, il più famoso windsurfer della storia (ora nostro coetaneo, più che arzillo 55enne, che quando gareggia ad hookipa è capace di dare del filo da torcere ai nuovi fenomeni contemporanei poco più che ventenni).

Altri supporter fondamentali, gli atleti italiani ormai ospiti fissi o residenti  a Maui: in primis  Ferdinando Loffreda, fortissimo atleta termoles, Maui resident da 20 anni e coach professionista,   prodigo di consigli, aiuti umani e materiali, sempre molto collaborativo con me, come pure  i giovani talenti che seguono il tour  IWT:  Federico Morisio e Sabine Zola, con i quali si è sviluppata una affettuosa amicizia,  che rappresenteranno l’Italia nei professionisti e che hanno fatto del podio maschile e femminile, il loro obbiettivo costante e quasi sempre  raggiunto ad ogni tappa.

A questo punto…incrociamo le dita e comunque vada..sarà un successo!!!

© Palì Gueltrini

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